Alla veloce

L’unico grande problema della comunicazione è l’illusione che abbia avuto luogo, diceva un premio Nobel. Questa è la sola cosa che so di lui, perché ancora devo approfondirne la produzione letteraria. Ogni giorno leggo diverse citazioni di autori o personaggi influenti offerte dal web e le loro voci si accavallano. È impegnativo interessarsi prendendosi del tempo, trovare l’energia per seguirne il filo: vita, pensiero, opere. Metti che sto leggendo un autore russo (dato che Fenoglio me lo tengo da parte per l’autunno) e questo tizio racconta la storia di un conte cicciottello che sembra non capire niente; non sa chi è né cosa fa pur intuendone vagamente la ragione e tu lo ami perché pensi: ma sì, è umano; manca di senso pratico; se si perde non c’è verso di fargli fare la O col bicchiere; dice ciò che pensa, si fa fottere e nei salotti buoni si muove come l’elefante nel negozio di cristalli. E poi passi al libro successivo e, dove tratta di agricoltura e dello zemstvo, ti fa venire il latte ai calcagni, ma forse centrerà qualcosa col fatto che Levin ha sempre i nervi a fior di pelle e che Anna odia sua figlia, di conseguenza dovrò trovare un buco per infilarci Mann, eppure esistono anche i venerdì sera e gli happy hour… e come quando andavi a scuola ti senti in diritto di temporeggiare; il riassunto per il lunedì lo faccio di domenica. E – di base – i diari dei miei quattordici anni sono il copia/incolla/modifica della roba che scrivo ora. Hanno gli stessi errori di sintassi e i racconti hanno addirittura lo stesso personaggio maschile, un tipo sarcastico (però sensibile) affascinante e misterioso con dei bei capelli, che tratta la protagonista un giorno male e l’altro peggio, facendoglielo sospirare. Perciò, intanto che al Lio storno lo sguardo alla veloce dal prototipo del caso, mi torna in mente che c’era un concetto simile nel libro del mese scorso. L’autore afferma che gli capita d’innamorarsi di certe persone per poi riconoscerne le caratteristiche in altre, così, in un susseguirsi infinito di mi ricordi qualcuno.

Quanto poco riesco a essere originale. Quanto poco mi allontano o avvicino a me stessa e quanto poco rompo gli schemi. Facendo il cambio d’armadio per la stagione estiva mi sono accorta che negli ultimi vent’anni ho comprato e ricomprato la stessa identica canotta gialla – spalline sottili, scollo a V – con la variante del gancio al posto dei bottoni. E quando chiacchiero con un ragazzo tenendo in mano la Corona con la fetta di limone nel collo della bottiglia, lo sento dire: “cerco una Donna Semplice, di Poche Pretese e Femminile. Mi sono lasciato con la mia ex perché mentre soffrivo non mi dava retta” con la variante che, a un certo punto, deve mostrarmi il video di un loro rapporto sessuale, vallo a capire. Devi condividere, aggiunge consigliandomi, e intanto che ballo osserva: sei rigida, e talvolta mi fermo a chiacchierare con un cliente abituale che nella mia testa dovrebbe chiamarsi Dario, perché ha la faccia perfetta per quel nome. Noto che ultimamente si liscia i capelli con la piastra, comunque sia si tiene attivamente informato riguardo alle mie frequentazioni: “Hai dei gusti, te” sorride, sapendo tutto. Intende dire che dovrei dare ascolto a lui piuttosto che ad altri. Magari è per quel motivo che dopo mezz’ora torno a ballare nei pressi della finestra aperta. Entra un’arietta piacevole e poi il Giò s’è trascinato una comitiva festaiola direttamente dal lavoro: la sposa ha un abito bianchissimo e corto dalla gonna arricciata e gli amici dello sposo indossano giacca, pantalone, camicia stirata e cravatta. Si guardano attorno straniti alzando il dito indice davanti al bancone e in effetti è una novità, a differenza della legge sull’aborto; quello è un meccanismo che torna a incepparsi non appena a qualche megalomane scoppia la merda nel cervello, come ora, che sono sdraiata sul divano sentendo sbraitare: bbbotthana! in accento meridionale. Sei una bbbotthana, altro che la libertà! da un vicino di casa alla sua compagna. Sbatte una spranga di ferro contro il cassonetto dell’indifferenziata facendo un fracasso insopportabile, mentre lei non fiata. In via Crocifissa di Rosa avevo composto il numero d’emergenza; la coppia di extracomunitari dell’appartamento a fianco urlava e fracassava mobili più accanitamente del solito, ma l’uomo in divisa mi aveva scampanellato e poi risposto che chi se l’era vista brutta, quella sera, era il marito: seduto sugli scalini del pianerottolo a premersi uno strofinaccio zuppo contro la tempia. Sul giornale non ne accennavano, penso intanto che leggo dell’ergastolo al ragazzo che ha ucciso una compaesana dopo averla violentata. Me la ricordo perché durante le scuole medie ero in classe con sua sorella, ricordandomi pure il periodo del liceo, quando aspettavo la corriera al terminal della stazione. Una biondina magra e bassa era riapparsa nel giro delle facce note con una cicatrice; il suo fidanzato l’aveva sequestrata. Si sapeva, voleva lasciarlo, perciò all’intervento della polizia aveva provato a tagliarle la gola e la mia profe di storia e latino un giorno aveva detto: dai Classici in avanti è tutta una ripetizione.

Alla veloceultima modifica: 2022-06-27T19:51:13+02:00da rossololita5
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