Ogni tanto

I momenti peggiori arrivano di notte.

Penso alla mia città, che ho imparato ad amare un pezzo alla volta, e rileggo i muri del Carmine: Renzi scemo e Brescia antifascista.

Vent’anni fa era pieno di puttane e spacciatori. Sentirlo raccontare mi metteva inquietudine; era poco raccomandabile, non era posto per gente perbene, si trovavano siringhe sparse lungo i marciapiedi…

Ora ripasso davanti a un trans con i capelli lunghi e ossigenati, talvolta in piedi davanti al portone verde del palazzo, spesso seduto a chiacchierare con una vecchia su una sedia da giardino e, duecento metri più avanti, l’insegna Carabinieri.

Fabrizio abita al terzo piano di un edificio antico centinaia d’anni, sopra una pizzeria con le vetrine unte gestita da egiziani, la cassetta delle lettere scrostata dalla ruggine e il citofono che sembra o nascondersi o essere di qualcun altro. Le scale sono strette e ripide, con gli scalini di marmo talmente consunti che rischiavo di scivolare a ogni passo.

C’è uno scorcio discreto, vicino al Palazzo del Broletto, con un piccolo arco e l’edera pendente e i ciclamini che cadono a pioggia. Ci passi sotto e sembra di oltrepassare un passaggio segreto.

Anche alcune ragazze bresciane sono così: nascoste. Non te lo aspetti, che siano belle.

Dormo spesso di giorno. Nel tardo pomeriggio l’oro del sole che tramonta si accompagna all’Ave Maria delle campane. Suona un carillon di ricordi d’infanzia. Sento la vita che evade dal condominio di fronte rimbalzare giù nel cortile per poi rientrarmi in casa dalla finestra aperta, con il mese di maggio. Bambini che strillano, un signore che fischietta, un ragazzo che parla al cellulare e dice è terribile, è terribile. Sì, hai ragione, è una situazione pazzesca.

La croce bianca al neon spesso illuminava le pozzanghere e si rifletteva sull’asfalto davanti al bar, e io vorrei esorcizzare la notte con i suoi fantasmi entrando e uscendo dalle porte dei posti dove non posso andare, incorporea ed eterea come un fantasma a mia volta. Entrare al Carmen Town per mangiare un hamburger e sorprendere il Giò sotto il manifesto Wanted. Fermarmi davanti alla porta rossa del Lio illuminata dall’alto come l’ingresso di un girone infernale, il pavimento che s’attacca alle suole delle scarpe, il brulicare di tante vite affacciate al cortile con la luna di perla poggiata tra i rami dell’albero.

Ma resto ferma, trattenendo il respiro al lamento intermittente delle ambulanze che intorbidisce l’attesa come l’eco di un grido lungo la gola di un crepaccio.

Sono mesi costellati da numeri neri, scrosci di dati senza nomi. Chi è così pazzo da pubblicare la pagina dei necrologi del Giornale di Brescia su Facebook? Chi osa tanto?

Il suo nome è nel mio sangue. Amaro, duro, imperfetto, forte, talvolta crudele a volte ingenuo; dolce, accomodante, iroso, tenace, focoso, calcolatore, sciocco, cocciuto, pavido, coraggioso.

Quante parole esistono per esprimere un concetto, un sentimento.

Quante volte mi è sembrato che gli amici abbiano preferito tacere su troppe disgrazie. Quante altre un grido ha squarciato una discussione con stizza per poi lasciarla morire nel nulla.

Anche le canzoni mormorate dalle finestre, a un tratto, hanno taciuto.

Ora qualcosa torna a sgranchirsi, con prudenza o incoscienza. Torno a percorrere Corso Palestro, mi lascio scivolare lungo i portici e vado alla Feltrinelli. Ci cammino dentro per ore, respiro piano, leggo tutto quello che mi attira, pago e torno a casa per un po’.

Dopo aver letto qualcosa di suo, aver pensato a lui giorno e notte e poi avanti così, senza poter dormire, senza riposarmi, seleziono con cura le parole e doso i silenzi e con chi condividerli.

Non mi sento più costretta, e solo ogni tanto sogno che mio padre non sia morto.

 

Ogni tantoultima modifica: 2020-08-01T17:05:25+02:00da rossololita5
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