Lettera a G.

Ti ho salutato, oggi pomeriggio: un bacio sulla guancia, uno appena a lato e uno sulla bocca.

Non m’importa più della paura, delle ansie del momento.

Non mi fregano. Ho deciso di vincere io.

L’altra mattina camminavo per il centro storico, dove i sampietrini sembra sempre riescano a portarti da qualche parte come la strada di mattoni gialli del regno di OZ, e mi sentivo molto piccola e senza peso, un pescetto dentro una boccia d’acqua enorme, una vasca raffinata e cromata, la piscina di un avvocato facoltoso.

Tutto quello spazio e quell’ossigeno mi hanno fatto girare la testa. Boccheggiavo, da bravo pesce rosso, e le suole delle mie scarpe sembrava non toccassero nemmeno terra.

E’ così che ci si sente quando si è veramente liberi?

La paura è un condimento onnipresente, che accompagna la vertigine in qualsiasi momento, quindi sentivo le ginocchia molli e rigide, le spalle sciolte e i muscoli contratti.

Quando vado a lezione di canto bisogna rilassarsi, chiudere gli occhi e respirare a fondo. Non sai quante volte, distesa la mascella e lasciata la lingua a riposare sotto il palato, ho quasi rischiato di addormentarmi in piedi, come un cavallo.

La mia idea di libertà è legata a questo posto, al Centro, che tu consideri appannaggio e zona di pascolo della “Brescia bene”.

Il mio luogo di culto, dove mi sento in diritto di immaginarmi felice, sempre, è Piazza Duomo.

Sai com’è: il Duomo vecchio, così tozzo e tranquillo come un savio progenitore in attesa sulla sua panchina e il giornale del sabato adagiato sulle ginocchia, e il Duomo nuovo, vanitoso ed eretto come un giovane attraente che fa pernacchie alla tradizione ma resta rispettoso delle norme e dei divieti di chi, in fondo, ne sa comunque più di lui. Non ci sono poi molti anni a separali e domani, se ne rende conto, potrebbe essere anch’egli un vecchio savio con le sue reminiscenze senili.

In quella Piazza mi siedo all’aperto. E’ la più ventilata di Brescia, una zona di transito per le correnti che rotolano da via Beccaria, via Trieste e via X Giornate e che vanno a confluire lì, facendo oscillare gli ombrelloni aperti scompigliando le tovaglie. Ti rubano il tovagliolo di carta e si mangia un panino con in mano l’uno e l’altro per essere più veloci del vento e riuscire a pulirsi la bocca dalle briciole.

Camminavo, quindi, e guardavo e respiravo a fondo.

Allora ho ricordato come si respira: non è semplice questione di mettere in moto muscoli, diaframma, petto, pancia. Si tratta di annusare. Certe zone, certi paesi, hanno un loro odore particolare. Così come a Sant’Eufemia c’è odore di legna bruciata, del fumo delle stufe, di polenta e spiedo, a Brescia, in Centro, si sentono gli aromi delle profumerie, del caffè dei bar, degli aperitivi con Aperol e Campari, dei saponi nelle boutique costose.

Mi tremano i polsi e non trovo di meglio da fare che annusare come un cane da tartufo.

Ma perché dare un calcio a tutto quanto se non per potermi riappropriare del diritto di annusare e di gustarmi certe note aspre o morbide o solitarie che dal naso vanno a risuonare sulla punta della lingua?

Ho mandato tutto all’aria: dei legami sentimentali, un rapporto di lavoro, e tra pochi mesi scadrà il mio contratto d’affitto.

Sono pazza? Per qualche giorno me lo sono chiesto. Ora trovo che questa domanda non abbia veramente ragione di essere.

Cosa bisogna fare, dopotutto? E’ molto semplice sai, ne sono convinta: prendi un uomo, scegli il colore delle pareti, decidi di spartire equamente il tuo tempo, la verità e l’apparenza. Procrea, lavora, incassa lo stipendio. Scegli dove vuoi essere taggata durante le prossime ferie luglio/agosto… Che altro?

Ma la vita è fatta di talmente tanti attimi e altrettanti strumenti per riempirla.

Non andrò a drogarmi sulla moquette lisa di uno scantinato londinese, questo va da sé, tuttavia sto scegliendo qualcos’altro.

Quando ho scelto è stata una rivelazione per me stessa, come quando hai una parola sulla punta della lingua e poi ti esplode in mente come una folgorazione, un’idea immensa e precisa. Ecco! Ecco cosa intendevo.

E la dici, perché dirla ad alta voce e condividerla con altri è il compimento di un processo sotterraneo che ha il solo scopo di essere reso noto.

Quando ho scelto, ti ho scritto:

“Dev’essere chiaro che io per te ci sarò sempre. E quello che forse prima non avevo capito è che non è importante in quali termini. Ti voglio nella mia vita e basta.”

Troppo duro? Troppo asettico?

All’apparenza il mio modo di comunicare lo è sempre. Sono brusca e sincera, come nasconderlo.

Oggi pomeriggio ti ho baciato e ti tengo stretto al mio cuore, dentro la mia vita.

A chi importa se partirai, se ti sposerai, se fai l’amore e ne resti turbato.

Se vuoi fare il missionario. Se con tuo padre è una battaglia che non vedrà la sua fine nemmeno quando cesserà di esserci. Se sei generoso e da qualche tempo hai ripreso ad andare a messa. Se guardi con sofferenza le coppie di persone che si dilaniano e scavano il ventre a cornate a vicenda.

Se tifi per la juve. Se ormai per te la sinistra è un cadavere maleodorante e inutile. Se ti sei tagliato i capelli per una delusione amorosa. Se tornerai a parlare della Mary altre dieci, cento, mille volte con la convinzione che resterà la donna più importante della tua vita. Se sogni di avere dei figli, morire sereno, vivere tranquillo con i tuoi demoni e le tue passioni?

Interessa a me. E sono qui.

Ci sono cose che mi impedivano di respirare a fondo e altre che non solo me lo permettono, ma mi invogliano addirittura a farlo. Tu sei una di quest’ultime, perciò ecco cosa succede: entro in una libreria e compro un libro di Vita Sackville-West.

Leggo:

“No, non voleva più averci nulla a che fare con quel mondo pazzo. – E’ proprio così pazzo, nonnina?- domandò. -O sono io la pazza? O sono soltanto una persona che non ci si sa adattare, a quel mondo? Una delle tante persone che trova importanti altre cose, molto diverse? In ogni modo, perché dovrei accettare le idee degli altri? Le mie possono essere altrettanto giuste – almeno, giuste per me. Conosco qualche persona che mi dà ragione, ma è sempre gente che, a quanto pare, non va d’accordo con il nonno o con la zia di mamma, la zia Carrie. E poi, c’è un’altra cosa… sembra che ci sia una specie di solidarietà tra il nonno e la zia Carrie e le persone che vanno loro a genio. Come se fossero tutti quanti legati a filo doppio. Ma la gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari… solo che si riconoscono non appena si trovano assieme. Pare che per loro esista qualcosa di più importante di quello che il nonno e la zia Carrie giudicano rilevante. Non ho ancora capito bene che cosa sia, questo qualcosa… E poi fra questa gente che mi piace, io scopro qualche cosa di duro e di intenso, di aspro, di crudele, quasi. Una specie di pietra dell’onestà. Come se fossero decisi a essere fedeli a tutti i costi alle cose che, secondo loro, sono importanti.”

Me ne vado a spasso, allora.

Osservo un barbone che attraversa la strada in obliquo. Le donnine affaccendate che pensano alle loro commissioni. Quelli che suonano uno strumento: un sax o una chitarra e lasciano il berretto a riposo sulla mattonella di fronte alla loro scarpa lercia per raccogliere qualche centesimo. Gli uomini vestiti bene con il cappotto e il foulard attorno al collo. E penso e annuso e boccheggio.

Va bene così.

Siamo dei solitari, forse, e ho sempre l’impressione che i sampietrini di Brescia mi stiano segretamente portando da qualche parte.

E se me lo concedi – e spero di farti felice un secondo – ti bacio, ti tengo stretto, amico mio. Me ne frego: ho deciso di vincere io.

Lettera a G.ultima modifica: 2014-06-28T00:02:00+02:00da rossololita5
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