Il punto

“Metti un punto e ricomincia dalle cose vere”.

Il venerdì sera al Lio è l’antitesi stessa del sentimentalismo.

E’ difficile restare romantici o lievi quando il dj imposta in loop dei pezzi di musica techno e nell’aria pesa uno spesso odore di ormoni. Suole di gomma surriscaldate, folate di umori da palestra maschile, nessuna melodia cerimoniale o nostalgica.

Spesso mi ritrovo ad andare in bagno, a intravedere la mia immagine riflessa nei frammenti sparsi del grande specchio ricoperto da scritte con il pennarello rosso e nero e fucsia.

Mi rallegrano le ragazze; sono scanzonate e con la migliore amica. Ci teniamo i cappotti e le borse a turno occupando i bugigattoli delle turche, una mano contro la porta senza chiavistello né serratura, l’altra già pronta con la striscia di carta igienica o alla meno peggio un fazzoletto spiegato.

Ci sorridiamo dal lavabo senza sapone. Una con la frangetta castana dice spiritosaggini fingendosi più alticcia di quel che è, chiede un parere sulla lunghezza della gonna, flirta e s’innamora dei miei capelli.

La settimana prima ne sorreggevo un’altra, sorretta io stessa da un simultaneo scroscio di risate incontenibili sul marciapiede davanti ai binari. Avevamo appena scoperto di essere state con lo stesso ragazzo, ma avevo dovuto scansare la sua bocca protesa dopo un languido apprezzamento sul neo che ho vicino al labbro.

Niente di male. Niente di più rassicurante di quel che è l’arguto, pacato e immobile trafficare del Lino che sembra ovunque e da nessuna parte; un ectoplasma lungo e bianco di una generazione estinta. Maneggia e parla come fra parentesi di silenzio.

Niente di più caldo e rassicurante degli occhi brillanti del buttafuori che paiono fissi nel buio ma sono dappertutto. Non te ne rendi nemmeno conto, eppure quando torno dal bagno mi chiede se è tutto ok e conferma la situazione con un sorriso di assenso soddisfatto.

Me ne sto su uno dei trespoli e sono un po’ depressa. Lo preferisco al sabato precedente: vibrazioni troppo belle, movimenti troppo felici. Nicola vicino alla consolle con i capelli troppo lunghi e la maglietta blu del Basket Brescia.

Sono felice di vederti! gli urlo nell’orecchio per sovrastare il suono della musica.

Davvero? chiede con un sorrisone incerto. Non ha più gli occhi cattivi e non appena la sua guancia s’accosta alla mia, mi annullo accarezzandogli le spalle alte e la schiena, gli indago la pettinatura da pigro nullafacente con le dita.

Nel mezzo del bacio ne rimpiango l’odore familiare, poi sento le sue mani sopra al sedere. E’ un attimo, e la rabbia mi monta dal fondo dello stomaco come l’alzarsi di un vento disordinato. Glie le scosto, ma dopo qualche minuto tornano a indugiare lì, cocciute. Lo scanso e gli sibilo nell’orecchio: pensi soltanto a scopare.

Seduta sul trespolo interrompo lo stato di malessere osservando. Stringo la mano di uno dell’ariete e uno della vergine. L’ultimo era impreparato a ricevere della simpatia, e nel mio incondizionato scansare la vanità dell’amico bello con il capello nero e la bocca da donna trovo immediatamente un patto di breve alleanza educata.

Mi diverto; c’è una certa continuità in ciò che scelgono i dj per far progredire il ritmo, una storia di energia e concentrazione, finanche la pretesa di abilità e spudoratezza. Le migliori, che si spostano e interpretano il rumore con un virtuoso senso di sé stesse, sono quelle di colore con i capelli crespi e il fondoschiena adatto. Non gli interessa minimamente di attirarsi gli sguardi degli uomini, perciò ballano meglio.

Esco a fumare sullo stesso trespolo, nello stesso posacenere. Arriva una combriccola, e al seguito c’è un ragazzo. Non riesco a dargli un’età, forse ventisei, forse trentaquattro anni. Sta sulla sedia a rotelle ed è un teatrino di falsità complicate: gli amici gli danno una pacca sulla spalla, lo trattano con cameratesca deferenza. Lui ammicca e annuisce come un re magnanimo. Una ragazza o due gli saltano al collo e gli danno un appassionato bacio pietoso sulla guancia.

Mi viene da pensare che gli siano odiose. Colgo un suo adombrarsi arrabbiato mentre una mano pronta con l’accendino sbuca ad abbassarsi per accendergli la sigaretta. A lui trema il polso e si piega con fatica verso sinistra, le ginocchia immobili. Mi attendo immaginando che il tipo ne abbia le tasche piene di pacche e baci, e che l’unica cosa che vorrebbe indietro siano le sue gambe e una sana sacrosanta scopata.

L’ultima canzone prima della chiusura è Enjoy the Silence pasticciata e alterata da un duro martellare incongruo ma, un po’ come quel bacio del sabato precedente, impossibile da rovinare davvero.

Il puntoultima modifica: 2019-10-13T19:15:51+02:00da rossololita5
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