(Da) Lontano

Quando ti penso, a cosa penso? Cosa mi viene in mente?

Al principio la bocca. Le tue guance da adolescente pallido. Gli occhi. I capelli.

No, le guance vengono dopo. E per ultima la voce.

Forse mi viene in mente quel modo che hai di arrivare.

Penso di averti sempre visto arrivare da lontano, con quella camminata da uomo alto che s’interessa di politica e delle coalizioni dei partiti.

Da vicino ti vedo quando stai seduto e parliamo ma è come se non ti vedessi veramente: beviamo un aperitivo, fumiamo. Certi particolari sfumano.

Come addenti una pizza? Come giravi il mestolo nell’acqua della pasta quando mi sono fermata a casa tua e abbiamo fatto l’amore in quella camera spoglia così solenga e fredda, freddissima, veramente?

Divago. Volevo dire: quella sera non ti ho visto arrivare da lontano. Eri fermo in un punto e preparavi la pasta con la panna e il prosciutto ed era l’una di notte. Stavi in piedi e non mi ricordo se ti ho abbracciato.

Avrei dovuto, ora che ci penso. Sai, abbracciare qualcuno in piedi, nella cucina di casa sua mentre prepara da mangiare dopo aver fatto l’amore, è sacro. E’ qualcosa che un’amica dovrebbe prendersi la libertà di fare. E’ qualcosa che bisognerebbe fare.

Penso alla tua voce, a come parliamo di fretta quando decidiamo di incontrarci perché il tempo è bastardo e tu devi andare a lavorare: hai il turno di notte, c’è la caposala (la tua mamma-tiranno) oppure è già mezzanotte, l’una, le due. Bisogna andare a dormire.

Certi momenti trascorsi, certi posti, restano legati alla tua persona:

1)    Sei ancora qui, là, chissà cosa stai facendo. Se stai pensando al tuo destino o al tuo passato. Se stai sfogliando le pagine di un libro e leggi, sottolinei un passaggio che ti piace al punto da accettarlo come la risposta a qualche cosa per cui non ti riesce di capirti.

2)    Parigi era magnifica: c’era il sole, le strade enormi, le folle di studentesche che cantavano inni nazionali. Un gruppo di adolescenti italiani che s’incrociava con un altro.

Ti ricordi? Avevamo intonato: “Ohi, vita! Ohi, vita mia…!” e loro – come un eco – avevano risposto di rimando, di là dai semafori e il traffico: “Ohi core, ‘e chistu core…!”.

C’era il Sacro Cuore con quella scalinata così ripida e il fiatone per arrivare in cima ed esclamare: che luce! Che splendore!

3)    Lego a te il momento d’attesa sul marciapiede mentre i professori sbirciavano impazienti che dall’angolo sbucassero i ritardatari della comitiva, e io che ti ho preso le mani per ballare un valzer sarcastico, lì, con le auto che rumoreggiavano a lato.

E’ stato a Parigi che ti sei innamorato di Maria?

Che giorno era?

Ti ha perseguitato come una promessa da mantenere.

4)    Ci sono sere, giovedì o domeniche della settimana, in cui torno ai nostri baci da profughi a scuola, quando ci nascondevamo dietro ad una colonna del cortile e mi lasciavi fare, come due scienziati che mescolano sostanze colorate per un esperimento.

Certe volte ti penso e mi arrabbio: ti immagino nella chiusura ermetica del tuo sogno africano dei rimpianti, che tra le tue braccia incrociate mi sembra abbiano tanto un sapore agrodolce che detesto sentirmi in bocca.

Non è facile scrivere questa cosa. Scrivere di te. E’ un po’ come cercare di copiare un quadro, emulare la tecnica dell’artista. Preso l’avvio non si sa dove si andrà a finire.

6)    Conservo i bigliettini che ci scambiavamo durante le ore di lezione: filosofia, storia, matematica, italiano – in cui si giocava all’amore come con le bambole.

Mi baci? Ne avresti il coraggio? Sì. Dimmi quando e lo faccio. Adesso. Adesso? Sì, adesso. Qui”.

7)     Penultimo punto: siamo in castello e beviamo un bicchiere di vino. Parliamo con calma, perché abbiamo tempo, ma c’è sempre troppo da dirsi; l’orologio puoi anche metterlo in tasca, ma questo non cambia le cose. Parliamo d’amore come sempre, andiamo a vedere la mostra di un tizio, un bresciano che… chi se lo ricorda.

Più che le cose fatte restano le impressioni, la sensazione, gli strascichi delle cose dette, il tuo odore particolare.

8)      Arrivi da lontano, siamo a scuola. Sta piovendo e non hai l’ombrello. Mi baci e sai di pioggia e d’erba. Hai i capelli bagnati, il cappotto umido e le guance fredde. Hai gli occhi ironici di sempre.

Mi saluti, ed ecco: quando penso a te, io penso a questo.

(Da) Lontanoultima modifica: 2015-02-24T15:47:10+01:00da rossololita5
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